Miriam Tritto
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Simbolica dei colori: tanè

14/7/2018

 
L’occhio umano percepisce innumerevoli sfumature, più di quante sia possibile catalogare o nominare per via dei limiti legati alle origini del linguaggio. Questo è accaduto, ad esempio, per le sfumature del colore rosso, come le tinte che derivano dalla combinazione del rosso col nero. Il colore della brace, mescolanza di fuoco, cenere e fuliggine, assunse il simbolo dell’amore infernale e del tradimento, come vediamo nella Genesi e nella simbolica cristiana.

Nell’Apocalisse San Giovanni vede Satana come un drago rossiccio e i quattro cavalli distinti da quattro colori. Il primo era bianco, ed era montato da un cavaliere munito di arco destinato alla vittoria; il secondo era rossiccio e il potere del cavaliere munito di spada era di togliere la pace dalla terra affinché gli uomini si uccidessero l’un l’altro; il terzo era nero, e il cavaliere che lo montava aveva una bilancia nella mano; il quarto era pallido, chi lo conduceva si chiamava “morte” ed era seguita dall’inferno. Tutti questi cavalli sono portatori di senso, riconoscibili proprio per via dei loro colori simbolici. Il bianco indica la potenza della luce sulle tenebre, del bene sul male e del vero sul falso; il rossiccio è il simbolo dei mali, dell’amore divino spento che non anima più gli uomini, del bene distrutto e del trionfo della guerra e della violenza; il nero rappresenta le falsità. Gli antichi distinguevano due tipi di nero: uno era la negazione del rosso – ovvero il tanè, o rosso color di fuoco dell’Apocalisse – l’altro la negazione del bianco. La bilancia retta dal cavaliere nero soppesa e valuta il bene e il vero; infine il cavallo pallido porta la morte spirituale, che sopraggiunge quando l’amore e la sapienza sono banditi dalla terra.

Le tradizioni spirituali pagane condividono lo stesso riferimento al fuoco e all’inferno del colore tanè o bruno. Il fuoco offuscato dal fumo, di contro alla fiamma chiara, diviene simbolo del male, lo vediamo in India e in particolare nel divino Shiva, principio distruttore e rigeneratore da cui derivano tutti i mali dell’umanità, raffigurato coperto di ceneri, di colore bruno della pelle, con i capelli in fiamme e un collare di crani umani. Egli rappresenta la morte materiale e la rigenerazione spirituale, è di color tanè per il primo attributo e bianco luminoso per il secondo.

Le credenze egiziane avevano un’enorme affinità con quelle ebree e lo vediamo proprio con i significati del colore che stiamo trattando. Gli egizi rappresentavano Tifone, personificazione del male e di tutte le cose nocive, di colore rossiccio quale mescolanza di rosso e di nero o, secondo l’espressione greca, color di fuoco. Tutto ciò che in natura è di color tanè, rossonero, era consacrato a Tifone e in suo nome come accadeva per Shiva in India, venivano compiuti sacrifici umani per scacciare via i demoni. Da qui abbiamo l’immagine della morte carnale umana come iniziazione, il sacrificio era un simbolo morale materializzato, l’uomo doveva sacrificare le proprie passioni egoistiche per potersi elevare. Il Dio di pace e amore divenne una divinità di vendetta e carneficina allorquando il culto si degradò e il simbolo non fu più compreso. La morte del Messia, che doveva abolire i sacrifici materiali per ristabilire il sacrificio morale, non fu affatto compresa nel profondo e considerata come il più grande dei simboli, ma fu invece presa alla lettera, portando al massacro dell’uomo, pur di ottenere il riscatto dell'anima. Da questo che divenne un dogma di carneficina presero vita le Inquisizioni, così come le conquiste colonialiste e la dottrina dell’espiazione per mezzo del sangue ebbe un compimento secolare, che ancora oggi, in forme moderne, vediamo compiersi davanti ai nostri occhi.

I sacrifici umani furono aboliti in Egitto e sostituiti dal sacrificio di buoi dal colore fulvo. La simbolica egizia riappare poi nel Cristianesimo, ad esempio la raffigurazione a serpente di Tifone diventa il drago rossiccio che è Satana, il diavolo. Anche le favole greche hanno in comune il linguaggio simbolico con l’Egitto, ma non solo, anche con l’India e la Persia. Vulcano si identifica con Tifone e con Caino, l’assassino del proprio fratello. Tutti e tre sono gli inventori dell’arte di forgiare i metalli, rappresentano il fuoco sotterraneo e infernale, contraltari di Abele, Apollo e Osiride, che simboleggiano invece il fuoco celeste. Il fuoco oscuro e il ferro sono due simboli del male e della falsità che ritroviamo in tutti i codici sacri. Tutte e tre le divinità in questione rappresentano la deformità e la bruttezza scacciata e ripudiata dalla divinità.
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Servitori di Vulcano sono i Ciclopi, abitanti tenebrosi delle caverne destinati al solo lavoro e avulsi a qualsivoglia forma di spiritualità. Figli di Vulcano sono Cado e Ceculo, criminali ciechi, simbolo della volgarità e dell’ignoranza. In comune c’è anche lo sposalizio tra Tifone e Nephti, la Venere egizia, che in Grecia avviene tramite Efesto e Afrodite. Quest’ultima viene poi sedotta da Ares, ovvero Marte, emblema dell’amore divino che combatte nel cuore dell’uomo per rigenerarlo. Venere ambita rappresenta la bellezza morale conquistata attraverso l’iniziazione (attuata mediante la concupiscenza con Hermes-Mercurio, messaggero degli déi e guida degli iniziati), mentre Vulcano era la personificazione del male, delle passioni carnali, della mera materia; perciò la loro unione è facile che rappresenti quella tra l’anima e il corpo.
La liberazione della coppia Venere-Marte avviene mediante l’intervento di Nettuno, non a caso dio delle acque, e da questa unione nacque Armonia, personificazione della musica sacra e delle conoscenze acquisite per mezzo dell’iniziazione; un' armonia ristabilita, dunque, quella tra Creatore e creatura.

Il colore bruno era inoltre, nell’Antichità e nel Medioevo, un segno di lutto. Gli Ebrei portavano cilici neri o bruni, le antiche pitture della Passione di Cristo riportano spesso personaggi con indosso vesti brune, molti ordini religiosi adottarono questo colore nei tessuti, come simbolo della rinuncia al mondo e della battaglia contro le forze infernali, gli errori e le tentazioni.

La simbolica delle gemme offre un ulteriore esempio del significato del colore fulvo o tanè. L’agata ad esempio è screziata di diversi colori, ma la più preziosa ha proprio il colore fulvo e macchiata di bianco, rosso, giallo e verde. E' una pietra guaritrice, cura dal morso dello scorpione, conferisce il dono del piacere alle donne e rende miti gli uomini per mezzo dei discorsi, così come conduce il viaggiatore alla propria casa con le ricchezze che ha accumulato, il malato torna in salute e chi la tiene nel palmo non può conoscere la sconfitta.

Le macchie nella pietra rappresentano le tentazioni e gli errori, sono dette “eroiche” perché la vita è un combattimento della verità contro l’errore e dell’amore contro l’egoismo.
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​Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013
Post elaborato e scritto da Miriam Tritto
Illustrazione generica di Miriam Tritto
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Simbolica dei colori: arancione e nero

2/6/2018

 
L’arancione è una tinta composta di giallo e rosso ed ebbe sin dall’antichità più lontana il significato della rivelazione dell’amore divino. Il color arancione è anche detto color zafferano e nel mito è associato a Dioniso-Bacco, all’Aurora e alle Muse, in quest’ultimo caso come unione dell’amore di Dio (nel rosso) e del verbo divino (nell’oro), che raccoglie le scienze e che quindi richiama le stesse Muse.

Nel Cristianesimo questo colore era l’emblema del cuore incendiato da Dio e dello spirito dei fedeli illuminato.
Nella lingua sacra questa sfumatura fu il simbolo del matrimonio indissolubile; la sposa del sacerdote di Giove portava un velo arancione e le era vietato il divorzio. Le fidanzate profane portavano un medesimo velo come segno di buon auspicio. Virgilio dona a Elena per le nozze un velo color zafferano. Nell’emulare l’eternità delle nozze celesti, quelle terrestri assumevano gli stessi simboli.

In base alla regola delle opposizioni che ci ha accompagnato finora, l’arancione segnalava anche l’adulterio; il fiore di calendula, di questo colore, indica ancora oggi il tradimento.  Come contraltare all’amore per la verità divina, gli venne attribuita la falsità umana e nella lingua araldica divenne emblema di ipocrisia. Allo stesso modo poteva rappresentare il colore dell’adulterio vendicato, dove il rosso e il giallo che lo compongono sono rispettivamente la vendetta e l’adulterio.
 
Passiamo ora al nero. Se il bianco è simbolo della verità assoluta e di Dio come essere da cui tutto emana, il nero è la sua antitesi e dunque rappresenta il nulla, l’errore, il male, la negazione dell’essere e della luce.  

Nella Genesi si parla della guerra tra luce e tenebre come forze contrarie, come rappresentazioni di bene e male. I simbolismi profani e anche quelli dell’antica filosofia naturalista greca hanno seguito questa indicazione sacra e visto questa coppia di opposti nelle manifestazioni empiriche quali giorno e notte, estate e inverno, caldo e freddo e di nuovo luce e tenebre.

Le stesse cosmogonie, che simboleggiano la creazione del mondo, offrono questo dipinto nell’ottica della rigenerazione e nei rituali sacri, l’iniziazione riproduceva l’antagonismo di luce e tenebre, la morte e la rinascita, così come accadde nella simbologia alchemica con la fase iniziale della trasmutazione, ovvero la nigredo o opera al nero.

Nella cosmogonia egizia, di pari a quella nella Genesi, le acque primordiali e tenebrose vengono fecondate dalla luce, dando così origine al mondo; ecco perché le cerimonie di iniziazione venivano praticate durante le ore notturne. L’iniziato doveva morire alle proprie passioni carnali e rigenerarsi morendo a se stesso; e acque battesimali rappresentavano i combattimenti spirituali e le tentazioni, i mali e le falsità, necessari e propedeutici a ogni rigenerazione.

Il battesimo avveniva di notte e le acque rappresentavano quelle primordiali delle tenebre che diedero origine al cosmo. La creazione morale del neofita trovava in questo modo il suo parallelo nella creazione dell’universo.  Anche nell’antica Grecia ritroviamo stessi simboli e stesse modalità rituali; lo lotta spirituale che subiva ogni rigenerato era raccontata nella guerra degli dèi e dei giganti, dove Giove potè vincere i figli delle tenebre solo con l’aiuto di Ercole, eroe emblema del neofita e della rigenerazione completa per mezzo delle sue dodici fatiche.

L’Orfeo greco canta la notte, madre degli déi e degli uomini, origine di tutte le cose create e le conferisce l’epiteto di Venere. Venere tenebrosa che partorisce l’amore, Eros,  principio di tutti gli esseri.
In Cina il nero rappresenta l’inverno, il settentrione e l’acqua. In India Khrisna è nero, in Egitto lo è Iside così come Osiride. Mercurio ha un’ala nera che conduce agli inferi.  Perché? Perché le divinità benevole discendono nel regno delle tenebre per ricondurre a loro stesse gli uomini che si rigenerano.

I miniatori medievali rappresentano Gesù Cristo col drappo nero quando lotta contro il male e la Vergine Maria col viso nero indica il grado che precede la rigenerazione o il combattimento della chiesa contro le tenebre.
La lingua popolare – si pensi all’antica Grecia e all’antico Egitto - conservò nel nero i significati nefasti, si pensi al lutto, alle pene e alle angosce dell’anima, l’odio, la vendetta, l’afflizione, l’espiazione.

Anche per gli arabi il nero indicava il dolore, la disperazione, l’oscurità e la costanza. Anche nel blasone ritroviamo questo ultimo significato, costanza nella tristezza e nelle avversità, associato alla prudenza e alla saggezza.
Pensiamo anche alla pittura vascolare greca ed etrusca, con le figure rosse su sfondo nero o nere su sfondo rosso; lo studioso Frédéric Portal ci invita a pensarle come manifestazione del dualismo dei due princìpi opposti.  Così, ad esempio, le figure nere su fondo rosso indicherebbero le tenebre e la morte e si atterebbero a quei racconti dove sono cruciali.
Inoltre l’opposizione dei due colori, il rosso e il nero, è conservata nei giochi di carte (la cui origine sarebbero i tarocchi) e nella dama antica.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013
Post elaborato e scritto da Miriam Tritto
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Simbolica dei colori: porpora, giacinto e viola

12/5/2018

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Il porpora e il giacinto sono tonalità che fanno parte di una stessa tinta, nell’una predomina il rosso, mentre nell’altra il blu. Nella simbolica, la sfumatura dominante determina il significato della tinta nella sua variazione.  Tenendo presente che il rosso rappresenta l’amore divino e il blu la verità celeste, il porpora e il giacinto faranno riferimento rispettivamente a questi due attributi.

Lo scarlatto, invece, è una sfumatura composta da rosso e giallo, con una predominanza della prima; fondendo i significati delle due tinte, simboleggia l’amore spirituale e la parola divina.
Questi tre colori vennero usati sin dall’antichità nelle vesti sacerdotali e nei paramenti sacri.

Dal punto di vista dell’analisi duale di questi tre colori, abbiamo significati opposti come per le tinte affrontate in precedenza; se il porpora è associato al bene, il giacinto al vero e lo scarlatto a entrambi, al contempo essi possono assumere declinazioni negative e rappresentare il male, l’errore e la falsità. In questo senso, il profeta biblico Geremia, associa ai falsi sapienti il giacinto e il porpora, identificati dai loro abiti. Nell’Apocalisse, San Giovanni ha una visione di cavalieri vestiti di armature di fuoco, di giacinto e di zolfo, in sella a cavalli dalla testa di leone che sputavano tre piaghe – fuoco, fumo e zolfo – per mezzo delle quali la terza parte degli uomini viene uccisa. In questo testo sacro, la bestia color scarlatto ha un significato infernale.

Anche il paganesimo antico vede nelle diverse sfumature del giacinto, gli emblemi della virtù e del vizio. La predominanza di blu indicava la costanza nelle battaglie spirituali e la fedeltà. Il giacinto poi era associato alla salamandra e ne condivideva a virtù di poter resistere al fuoco finanche ad avere la virtù di spegnerlo. Entrambi erano simboli della fede costante che trionfa sulle passioni e le spegne. Inoltre vi era la credenza, data probabilmente dall’osservazione empirica, che il giacinto seguisse i cambiamenti atmosferici, che brillasse dunque al sole e si oscurasse sotto un cielo plumbeo. Assume così l’emblema dell’uomo pio che si apre ai raggi divini e ne assorbe l’amore e il sigillo.

Passiamo ora al viola.

In questo colore, le due tinte originarie che vanno a comporlo si equilibrano e vibrano alla pari, così il significato è il risultato di questo incontro e simboleggerà l’amore per la verità e la verità dell’amore, l’unione della bontà e della verità con la sapienza.
Attraverso l’esperienza della Passione e il supplizio della croca, Gesù Cristo rese la propria natura divina identica a quella del Padre, ovvero amore e verità. Per questo, sui monumenti del Medioevo, il Cristo porta la veste viola durante la Passione e i sacerdoti mantengono questo colore nel periodo liturgico legato alla Passione, indicando l’identificazione del Padre col Figlio. Mentre lo Spirito Santo ha i colori rosso e blu, mai viola. Esso è Dio in noi, come amore e verità, in qualità di attributi divisi e non ancora uniti finché non avviene l’identificazione col Padre.

In Dio l’amore e la sapienza fanno parte di un unico attributo, che nell’uomo è diviso. Gesù, archetipo dell’umanità, indossa la veste rossa e il mantello blu; spogliandosi della natura umana per unirsi nuovamente a Dio, passa alla veste viola. Dopo la sua glorificazione, quando si identifica con Dio ed è Dio stesso, appare vestito di rosso e di bianco.

Gli artisti diedero talvolta la veste viola a Dio stesso, come si può notare nella volta della Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo Buonarroti. Spesso anche la Vergine Maria porta questo colore nelle vesti, per indicare il sacrificio di suo figlio e di ella stessa, in nome della salvezza degli uomini.
Persino i manoscritti anteriori all’epoca rinascimentale e inerenti al culo (evangeliari, salteri, breviari) sono scritti in lettere d’oro su sfondo viola.

Il viola fu anche il simbolo delle nozze mistiche della Chiesa con il Signore, per mezzo del Salvatore che unisce, attraverso la Passione, la natura umana con quella divina. Il sacrificio compiuto rappresentava l’immagine di ciò che l’uomo deve compiere sulla terra, prima di accedere alle nozze celesti.

Ai martiri, che subirono supplizi analoghi a quelli del loro Maestro, fu consacrato il viola. Fu inoltre colore adottato per il lutto di personaggi di alto rango, come i re di Francia e i cardinali.

Anche nella cultura cinese il viola è un colore associato al lutto; laddove il blu designa i morti e l’immortalità dell’anima e il rosso i vivi, il viola simboleggiò la resurrezione nell’eternità.

Insino nelle tombe egizie si trovano amuleti di questo colore; così come nella cultura greca il mantello del Dio Apollo è viola o blu. Apollo era la personificazione del sole e questo ci evidenzia ancora una volta la stretta associazione che esiste tra cultura pagana e cristiana, espressa attraverso i simboli; si pensi a Gesù Cristo chiamato “il nuovo sole” e all’associazione, anch’essa lampante, con la religione mitraica, preesistente e largamente diffusa prima dell’avvento del Cristianesimo nella cultura romana, che sappiamo altresì avere molto attinto da quella greca.

Trovo anch’io, come nella riflessione di Portal, che queste osservazioni non debbano essere prese come un attacco o un demolire il cristianesimo, quanto un farci capire come tutte le cose sono fortemente imparentate, come attingano da ciò che li circonda o le abbia precedute, come mantenga certi significati seppure cambiandone le forme rappresentative. Il simbolo è qualcosa che unisce, come dice la parola stessa, non che divide.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013

Post elaborato e scritto da Miriam Tritto
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Simbolica dei colori: il rosa

22/4/2018

 
Il colore rosa si forma per unione del rosso e del bianco e di conseguenza mutua da essi il suo significato di amore e sapienza divina. Per questi attributi la sua portata simbolica è analoga al colore giallo, con la differenza che oro e giallo sono considerati superiori perché si riferiscono a Dio e alla sua rivelazione, mentre il rosa incarna l’uomo che riceve la Parola divina.

La rosa e il suo colore erano nell’antichità il simbolo dell’iniziazione ai misteri e della rigenerazione: facendo propri l’amore e la sapienza divina, il neofita si spoglia delle proprie passioni e diventa veramente uomo. La parola stessa “rosa” ha un’etimologia che ci porta alla rugiada, alla pioggia celeste con la sua radice ros.  Negli ambiti esoterici e popolari i molteplici significati della rosa si toccano e si alimentano, restituendo un universo ricchissimo di pratiche e credenze che vale la pena di approfondire.

Il significato legato alla pioggia celeste è riprodotto nella cultura egizia - in riferimento alle scienze umane come acqua che cade dal cielo e accessibile nei templi solo agli iniziati – così come nella Bibbia, dove la rugiada è simbolo della rigenerazione e il rosaio è immagine del rigenerato. Mosè annuncia che le sue istruzioni si spanderanno come la pioggia e la sua parola cadrà come rugiada sull’erba (altro simbolo di rigenerazione). Anche il linguaggio allegorico dell’alchimia attingerà da questo simbolismo spirituale per figurare il suo processo iniziatico di trasformazione dell’io, con l’immagine della rosa eletta a pietra filosofale e della rugiada; alcuni ermetisti, si pensi ai Rosa-croce, lo assumeranno addirittura come nome.

Gli alchimisti, nel primo livello della loro opera di trasformazione immaginifica e volontà, raccoglievano la rugiada o acqua celeste dalle rose primaverili, soprattutto nel mese di maggio, momento più propizio dell’anno per iniziare l’Opera. Questa pratica di raccolta veniva riproposta anche dalle anziane signore dei villaggi, che conservavano la rugiada in ampolle al buio fino all’autunno inoltrato e alla prima notte di luna piena in novembre la esponevano per poi utilizzarla come acqua miracolosa di guarigione spirituale e fisica.

Così la rosa arriva a simboleggiare l’archetipo della rigenerazione e del risveglio dell’anima a se stessa e all’amore divino di cui è frutto e mistero, durante un’alba rosa.
Ritroviamo i medesimi significati anche nella cultura indiana, i cui libri sacri riportano la rugiada e il colore rosa come simboli della parola divina. Nei testi sacri orientali e occidentali il simbolismo legato al rosa e alla rosa assume un profilo poetico eccezionale.

Pensiamo alla nascita di Minerva, nell’isola di Rodi, o isola delle Rose, la cui leggenda narra che una pioggia d’oro cadde in quell’occasione, a simboleggiare il battesimo spirituale del neofita nella sapienza divina e nella rigenerazione. Ma nella cultura greca la rosa non era associata soltanto a Minerva; quale simbolo d’amore era consacrata anche a Venere. Innamorata di Adone (e Adonai è uno dei nomi della divinità nella Bibbia), ne raccoglie il sangue dalla ferita di cinghiale e lo trasforma nel fiore d’anemone; durante la corsa, ai piedi dell’amato ella si ferisce e il sangue che sgorga dal suo piede colora la rosa bianca di una tinta vermiglia.

Nell’antichità dunque la rosa richiamava anche un’idea di morte, anche perché era simbolo di iniziazione, ovvero di morte e rinascita. Venivano svolte delle cerimonie dette Rosalia, tutti gli anni nel mese di maggio, e ai defunti offerti piatti di rose, a simboleggiare la nuova vita spirituale. Ecate, la dea romana della morte, spesso veniva raffigurata con una corona di rose a cinque foglie (un numero non a caso), a indicare l’inizio di un nuovo stato.

La tomba di Gesù Cristo era, secondo quanto riferito dal monaco benedettino e teologo Beda il Venerabile, dipinta di un colore rosato. La rosa divenne emblema della saggezza monastica e della rinuncia al mondo. La rosa rossa designa l’iniziazione all’amore divino, mentre la bianca alla sapienza divina.

Nel 50° giorno dalla Pasqua, domenica 20 maggio 2018 è organizzata una pioggia di petali rossi al Pantheon dopo la messa della Pentecoste. La ricorrenza, nella tradizione cristiana, commemora la discesa dello Spirito Santo sulla Madonna e sugli Apostoli raccolti nel cenacolo. Sospesa per lungo tempo, è stata ripristinata nel 1995 e rispecchia una tradizione di quasi duemila anni: deriva dall’antica festa di Pentecoste dei primi cristiani a Roma, quando la rosa rappresentava lo Spirito Santo ed era il simbolo del sangue versato dal Crocefisso per la redenzione dell’umanità; petali di rose venivano fatti cadere sui fedeli dal lucernaio della cupola dell’antico Pantheon a simboleggiare le lingue di fuoco della sapienza.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013

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Simbolica dei colori: il verde

25/3/2018

 
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Il verde è il colore consacrato a tutte le divinità che rappresentano l’unione del bene e del vero nelle azioni. Si pensi a Giano, a san Giovanni evangelista o a Ganesha. Al colore verde vengono associati i simboli dell’acqua, dei boschi, dei pesci, della tartaruga; quest’ultima in particolare è connessa alla creazione dell’universo e alla rigenerazione dell’uomo. In Grecia, India e Giappone il mondo viene rappresentato come poggiante su una tartaruga.
 
Il verde è anche contenuto nella visione dei tre cieli descritto sia nel Trattato sulle gerarchie celesti di Dionigi Aereopagita, che nella dottrina del geografo armeno Vartan; questa visione racconta dell’esistenza di un cielo supremo dove regna l’amore divino seguito da un cielo intermedio abitato dalle sapienti gerarchie angeliche e infine l’ultimo cielo spirituale e acquoso che corrisponde all’arcobaleno verde dell’Apocalisse. Queste tre sfere di fuoco, aria e acqua rappresentano i tre cieli nel mondo materiale. Ritroviamo il medesimo concetto anche nella filosofia di Platone e di Aristotele e che sarà sviluppato successivamente nell’età medievale.
 
Le tre sfere emananti da Dio sono all’origine dei racconti profetici: la prima è rossa e pertiene all’amore, la seconda è blu e pertiene alla sapienza, la terza è verde e pertiene alla creazione. Da qui capiamo come ai quattro elementi naturali si siano fatti corrispondere quattro precisi colori: il rosso al fuoco, l’azzurro all’aria, il verde all’acqua e il nero alla terra; le sfere degli elementi corrispondono dunque alle sfere dei cieli nelle mappe celesti di greci, indiani e cristiani. Così anche l’iniziazione rituale e l’accesso ai misteri passava per quattro prove simboliche, ognuna legata ad ogni elemento naturale. La terra rappresentava il caos primordiale e le tenebre dei profani, l’acqua (il battesimo) era la rigenerazione esteriore e la vittoria sulle tentazioni, l’aria era emblema di verità che illumina l’intelletto, infine il fuoco apriva il cuore all’amore divino nel grado supremo.
 
Nero e verde sono colori legati l’uno all’altro e simboleggianti la terra: come materia le si attribuisce il nero, mentre il verde rappresenta la vegetazione che la ricopre. L’acqua condivide con la terra la stessa ambivalenza cromatica: il verde indica l’unione feconda e la rinascita, il nero lo stato di separazione e morte. Lo stesso atto battesimale è il simbolo della creazione: il profano incarna la materia inerte e le acque versate sulla sua testa sono il principio fecondante e rigenerante; così la parabola del seminatore insegna ai cristiani che la rigenerazione è come il germe della pianta che rinasce nella terra e dalla morte prende nuova vita.
 
L’erba verde è da sempre il simbolo dei rigenerati; nell’Apocalisse le cavallette devono obbedire al precetto di non far alcun male alla vegetazione, ma di farne soltanto agli uomini privi del sigillo di Dio sulla fronte.
 
L’iniziatore cristiano per eccellenza e sacro scrittore dei misteri apocalittici, ovvero San Giovanni, è quasi sempre raffigurato con la veste verde, e nel primo grado di generazione viene attribuita anche alla Vergine e a Gesù bambino. Il simbolo della rigenerazione era la rinascita della natura in primavera, consacrata dal Messia nella parabola del seminatore e raccontata durante il supplizio della croce. La stessa croce è di legno verde e designa l’uomo rigenerato, di contro al legno secco che rappresenta il profano senza più vita spirituale. Con l’esempio del Cristo attraverso la simbologia del verde e della rigenerazione per mezzo della carità, si ricordano agli uomini i due comandamenti di amare Dio e il prossimo, come salde basi della salvezza eterna. Offrendosi in sacrificio, il Cristo diviene speranza per l’umanità e rappresenta l’esempio della carità divina. Ecco allora che i pittori cristiani del Medioevo tingevano la croce di colore verde, come simbolo di carità, speranza e rigenerazione; di riflesso anche il sepolcro e gli strumenti della Passione erano spesso dipinti di questo colore.
 
Anche in Cina il verde indicava la primavera e la carità, ed era il colore principale del legno. Lo stesso significato si ritrova presso gli arabi, dove il verde racchiudeva il significato dell’iniziazione alla conoscenza di Dio, rivelato nel Corano. Il verde qui è anche l’abito di tutti i pascià del monarca, amministratori delle province ad essi affidate, inoltre il verde veste i ministri di giustizia e di religione in nome dell’imam, primo pontefice dell’Islam. Il turbante verde è esclusivo degli emiri discendenti di Alì, diventando così il segno distintivo di tutti i popoli mussulmani. Così abbiamo tra le religioni orientali Alì iniziatore della conquista che porta la veste verde, e in occidente San Giovanni, iniziatore spirituale di verde vestito. Il giorno consacrato a queste figure è il venerdì, giorno della Venere verde.
 
Venere nell’Antichità rappresentava l’amore divino e i greci ne distinguevano due: una celeste (verde) e l’altra terrestre (nera). La Venere di colore verde emanava dall’altra e nasceva in seno alle acque primordiali, prendendo il soprannome di Venere Afrogenia, nata dalla schiuma del mare; ella, unita a Hermes (iniziatore e sacerdote dei sacri riti) generava Amore. Anche qui le acque dalle quali Venere prende vita, rappresentano il battesimo e l’iniziazione. In una pittura a Ercolano vediamo proprio Venere vestita di un drappo verde svolazzante. Le sue compagne, ovvero le tre Grazie, rappresentavano i tre gradi di iniziazione che l’anima deve percorrere per rigenerarsi: Talia è la vegetazione, dunque è di colore verde; Eufrosine è di colore azzurro e designa l’aria; Aglae regna sul fuoco ed è di colore rosso. Anche tutte le divinità marine della Grecia avevano come attributo il colore verde. Si pensi alle Nereidi e, in generale, alle ninfe che traggono il loro nome dall’acqua.
 
Un’altra divinità dell’antica Grecia è associata al colore verde, la Minerva o Pallade-Atena. Anch’essa è legata all’iniziazione e alla rigenerazione dell’uomo, connessa alle acque primordiali in seno alle quali nacque il mondo. La Minerva unita al dio del fuoco Vulcano dà vita al sole, ovvero Apollo, simbolo della luce eterna e della rivelazione divina. A essa venne attribuito l’epiteto di musica, ovvero la scienza insegnata dalle muse che comprendeva tutte le conoscenze. Omero conferisce a Minerva occhi glauchi, color verde mare; l’occhio è emblema di intelligenza che l’uomo può orientare verso il bene o verso il male. Come a Minerva anche a Satana vennero attributi occhi verdi e il verde, come per tutti gli altri colori era, per opposizione, portatore anche di significati nefasti: follia e degradazione morale, come contraltari della sapienza e della rigenerazione dell’anima.
 
Nel linguaggio popolare il verde è emblema della nascita materiale; la superstizione attribuì allo smeraldo la virtù di affrettare il parto; inoltre la polvere di smeraldo poteva guarire dal morso di animali velenosi. Così il verde assume il colore della speranza e della vittoria materiale, diviene infatti nell’età moderna il colore dell’opulenza e della ricchezza; allo stesso tempo poteva declinarsi negativamente in un colore sinistro di disperazione e disfatta.
 
Principalmente, però, essendo il colore della primavera, della gioia e della gioventù dell’anno e dell’uomo ha principalmente una forte connotazione positiva.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013

Post elaborato e scritto da Miriam Tritto

Simbolica dei colori: il blu

11/3/2018

 
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La tinta blu, in tutte le sue tonalità, è il colore simbolo dell’aria. Nel mondo religioso, il blu è strettamente legato al colore dello spirito e insieme al rosso condivide i significati di amore divino e verità; inoltre declina anche un altro modo di presentare il fuoco. Nelle lingue orientali, la stessa parola azur è il nome del fuoco.

Quando il rosso e il blu vengono riuniti si ottiene il viola, ovvero l’identificazione  dell’amore e della sapienza di Dio verso gli uomini.  Il corpo del Dio, in qualità di creatore, è sempre di colore blu: si pensi agli déi supremi Vishnu per gli indiani, Kneph per gli egizi, il Cielo per i cinesi, o alla volta celeste che per i cristiani rappresenta il mantello della divinità.
Il blu è anche il simbolo del Dio salvatore, giudice e redentore. Ritroviamo ancora una forte affinità tra i testi sacri cristiani e induisti, dove la vita del Cristo presenta vicende analoghe a quelle della vita di Krishna; ma soprattutto nell’Apocalisse cristiana, il Dio del Giudizio si presenta su di un cavallo bianco per cancellare i peccati del mondo, così come accade nel Bagadavadam, dove Vishnu appare su un cavallo bianco per chiudere l’età presente del Kali Yuga e iniziare un’età virtuosa.

La simbolica dei colori distingue tre tonalità di blu: il blu emanato dal rosso che rappresenta il fuoco etereo e l’amore celeste della verità; il blu emanato dal bianco che indica le verità della fede e le acque della Bibbia; infine il blu unito al nero che indica lo spirito di Dio che sovrastante il  caos. Questi tre aspetti del colore blu corrispondono ai tre gradi dell’iniziazione antica e al triplice battesimo in Cristo: il battesimo nel fuoco, nello spirito e quello naturale. Questi tre gradi vengono rappresentati in pittura dal rosso, dal blu e dal verde dove quest’ultimo, insieme al nero e al blu, scuro indicano le acque primordiali da cui prende forma il mondo, mentre l’azzurro rappresenta lo spirito dell’uomo rigenerato e formato, e il rosso la santificazione. Le tre tinte corrispondono alla genesi del mondo, alla creazione di Adamo e alla santificazione della domenica, il giorno in cui Dio si riposò.

Anche in India il Dio supremo Vishnu è vestito di colore verde o blu scuro quando viene rappresentato nell’ultimo grado della rigenerazione. Lo stesso accade per Saturno, o per Osiride, o Kneph, tutti déi che hanno un rapporto con l’acqua. Nel tempio di Saturno la statua a esso dedicata era di pietra nera, i suoi sacerdoti erano etiopi o abissini, portavano una veste blu e quando il re varcava la soglia del tempio il suo seguito era vestito di blu o di nero. Saturno, simboleggiando l’opposizione della vita e della morte, incarna questi due colori nello spirito e nella materia. Lo stesso accade per Krishna, incarnazione della verità divina, il cui corpo è azzurro, ma se viene sottomesso alle tentazioni del male e abbassato alla condizione umana, diventa blu scuro o nero. Anche il tempio e la statua di Mercurio erano di pietra blu e aveva un braccio nero ed un braccio bianco, lo stesso dicasi per le ali, dove le piume bianche spalancavano le porte del cielo e quelle scure la soglia dell’inferno.

Il blu appare anche nei testi cristiani dove il Messia veste un mantello di questo colore nei tre anni di iniziazione degli uomini alle verità divine ed eterne. Lo ritroviamo anche in Egitto a vestire i sacerdoti guardiani della verità eterna ed è protagonista inoltre nelle tombe, colorando gli amuleti e le figurine emblemi d’immortalità. In Cina il blu è il colore dei morti e delle loro anime, in contrasto con il rosso che rappresenta il fuoco dei vivi. Anche Gesù nella tomba è avvolto da un sudario blu, mentre il sepolcro era di colore rosso. Durante la Quaresima il sacerdote è vestito di blu e le immagini del Cristo sono coperte con un velo dello stesso colore. La combinazione di blu e rosso fa ottenere il viola, colore dell’anima che si slancia nell’eternità e si eleva all’immortalità; da qui assunse quindi un’accezione funebre.

Nella lingua profana il colore azzurro fu quello della fedeltà, compresa quella legata al giuramento che i soldati prestavano ai propri sovrani. Nel blasone il blu indica, oltre alla fedeltà, la lealtà, la buona reputazione e la castità.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013

Post elaborato e scritto da Miriam Tritto

Simbolica dei colori: il rosso

25/2/2018

 
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C’è un elemento naturale che ha a che fare con il colore rosso e che ritroviamo nella tradizione di tutte le civiltà come principio creatore e distruttore. Comincerei questo breve approfondimento parlando del fuoco: in ebraico uno dei nomi di Dio è quello del fuoco; per gli indiani, il dio Shiva è il fuoco dell’inizio e della fine; per gli egizi, la fenice era simbolo del principio vitale, della luce e della rigenerazione nel fuoco, l’epifania della vita e l’avvento del tempo, oltre che simbolo d’iniziazione e sacrificio. Adamo, il primo uomo, deriva il suo nome proprio dal rosso, il colore del fuoco. Modellato nell’argilla, egli riceve il soffio vitale per mezzo dell’amore divino.

L’ultima fase del processo alchemico, detto La Grande Opera, è intitolata al rosso. L’alchimista ha il compito di elevarsi dalla materia per liberarla, dopo averla purificata. E’ in questa fase che i metalli vili si tramutano in oro, e l’anima, ripulita, è pronta a fondersi col mondo, a conciliare gli opposti con la consapevolezza di far parte del Tutto come strumento di Dio.
Le quattro fasi dell’alchimia (nigredo, opera al nero della putrefazione; albedo, opera al bianco della distillazione; citrinitas, opera al giallo della coagulazione; rubedo, opera al rosso della trasformazione) presero il nome dai colori fondamentali della pittura parietale greca, e furono messe in corrispondenza con gli elementi naturali terra, acqua, aria, fuoco. In seguito agli studi condotti da Jung, simboleggiarono ufficialmente le quattro fasi di trasmutazione interiore e psichica. L’alchimia nasce dal bisogno di elevazione spirituale dell’uomo, e rappresenta un processo filosofico ed ermetico che persegue la conoscenza e il superamento dei limiti umani, adottando un linguaggio di non facile decifrazione senza la conoscenza dei simboli e delle allegorie di cui si serve.

Ogni fase alchemica era associata, nella tradizione medievale, a determinate figure. Le principali legate alla rubedo sono la rosa, l’uovo, la fenice e il pellicano: simboli che possiamo rintracciare in molte religioni. Soprattutto quello dell’uovo primordiale rappresenta un riferimento principe per le cosmogonie che narrano l’origine del mondo. Prendiamo ad esempio la cultura greca: nella Teogonia di Esiodo si narra che la Notte partorì un uovo, da cui nacque Amore (ovvero Eros), padre della luce e degli déi. Di Cupido ci parla anche Apuleio (nel suo Asino d’oro) raccontando la vicenda di Psyche e le prove che l’anima deve superare prima di ottenere l’immortalità.

L’amore e il rosso erano dunque sinonimi del fuoco nel linguaggio dei simboli. Nell’antichità l’amore è anche legato al concetto d’infanzia: Eros è un bambino; l’amore celeste cristiano è rappresentato da putti alati; il regno dei cieli appartiene - secondo il verbo di Gesù - soltanto a chi conserva in sé il “fanciullo”. Le divinità sono vestite di rosso come attributo d’amore; si pensi a Zeus, Vishnu, Maometto e allo stesso Gesù Cristo dopo la Resurrezione. Nel giorno della loro festa, le statue dedicate alla divinità oggetto della celebrazione venivano dipinte di rosso. Degna conseguenza di tutto questo è l’uso di abiti rossi per pontefici, cardinali e re, indice dell’amore e della consacrazione in Dio.

La regalità di questo colore era riconosciuta universalmente, così i re d’Egitto portavano drappi rossi, proprio come gli imperatori romani e i regnanti della Grecia. Persino gli editti erano redatti e firmati con inchiostro rosso, e dello stesso colore era la ceralacca posta a sigillo.

Questo colore, come gli altri, conserva un significato ambivalente: divino e infernale.
Il contraltare dell’amore divino è l’egoismo, l’odio, la cupidigia: anche il demonio, come alcune divinità, è vestito di rosso e il fuoco dei sacrifici offerti agli déi trova il corrispettivo nelle fiamme degli inferi, dove tutti i vizi e i crimini bruciano. Il blasone ha conservato nelle sue rappresentazioni il duplice significato del rosso, che negli stemmi indica le virtù spirituali, l’ardore verso Dio e il prossimo, così come l’ira, il furore, la violenza e la crudeltà.

La pietra preziosa maggiormente collegata al rosso è il rubino che nell’antichità era considerato emblema di fortuna. Se mutava il suo colore, presagiva un avvenimento funesto, passato il quale riacquistava la sua tinta originale. Si credeva, inoltre, che questa pietra scacciasse la malinconia, resistesse al veleno, allontanasse i cattivi pensieri e proteggesse dalla peste.

Infine, il rosso rappresenta anche il pudore. Si pensi alla tinta che assumono le gote quando vengono colorate dalla virtù.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013

Post elaborato e scritto da Miriam Tritto

Simbolica dei colori: il giallo

4/2/2018

 
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Il giallo trova il suo simbolo naturale nella luce e nel calore del sole. Sole che simboleggia l’amore di Dio, manifesto e rivelato nella creazione e nella rigenerazione.

Tutte le religioni basano i loro dogmi sui simboli solari; si pensi a Mithra o ad Apollo, di cui l’oro e il sole sono attributi e si manifestano nelle vesti, negli strumenti e nell’incarnato. Mithra inoltre è l’esecutore della parola sacra e il mediatore del pensiero divino, soccorre chi si ha smarrito la retta via e soppesa la condotta degli uomini; grazie alla sua intercessione, l’uomo si eleva nelle parole e nelle azioni.

Si può riscontrare una perfetta identità di simboli e di cerimonie nel cristianesimo e nel mithraismo. Il culto solare e la promessa di un redentore erano diffusi in tutto l’oriente, prima ancora che in occidente; si pensi a Zoroastro, il riformatore dell’antico culto solare, il cui nome significa astro d’oro e splendente. Gli stessi significati li ritroviamo in India racchiusi nella prima emanazione dell’Essere supremo: Vishnu, il sole spirituale, chiamato il “portatore di abiti gialli”. Vishnu fu colui che all’alba dei tempi generò le acque nelle quali depose un uovo dorato e radioso, da cui nacque Brahma il progenitore e il Verbo rivelato, come Adamo.

Lo stesso modello si ripete in Egitto con Amon, il Verbo divino rivelato al mondo in qualità di Horus, il figlio di Dio, che nasce, come Brahma, nel calice di un loto in mezzo alle acque.
Tutte queste divinità sono assimilabili da Occidente a Oriente e si identificano con il sole mistico, adorato dai popoli e consacrato nell’oro. I pittori diedero a Gesù Cristo capelli dorati e l’aureola dorata posta sulla testa sacra è il simbolo di una nuova era, di un evento epifanico.  Il giallo e l’oro ricevettero nella liturgia e nei riti lo specifico simbolo della rivelazione; essi rappresentavano l’iniziazione ai misteri e la luce rivelata ai profani.
Le statue di Anubi erano giallo oro, lo stesso significato del suo nome è “dorato”; così come le vesti di San Pietro - custode della dottrina ecclesiastica e simbolo della fede per eccellenza – erano raffigurate in giallo.  San Pietro recava gli stessi attributi di Anubi e Hermes, ovverosia le chiavi e il bastone.
Anubi, poi, come personificazione delle scienze umane assumeva il nome ti Thot, l’Hermes greco, o il Mercurio romano. Messaggero degli dèi e psicopompo, egli conduce le anime nell’Aldilà, le guida con una verga d’oro ed è rappresentato con un volto diviso fra la tenebra e la luce. Era inoltre nume tutelare dei ladri, nel senso di chi sottrae l’oro spirituale, ovvero i misteri della luce agli sguardi profani.

La favola delle Esperidi ce ne offre un esempio: figlie della Notte e delle divine acque, esse erano depositarie dei meli dai frutti d’oro consegnati da Era a Zeus come dono nuziale. A guardia di questi alberi fu posto un drago con cento teste, che conobbe la morte per mano di Ercole. Il drago, che era figlio delle tenebre, era il rappresentante dei vizi e delle passioni umane ed era l’emblema della separazione tra l’uomo e la sapienza spirituale. Le mele d’oro conferivano grandi virtù a chi le possedesse e proprio per questo motivo, la Discordia non perse occasione di far litigare le tre dee Esperidi.
Con lo stesso frutto Ippomene poté sedurre Atalanta, ed Ercole poté compiere la dodicesima delle sue fatiche. Ercole, che era un neofita, si sottopose a un vera e propria iniziazione ai misteri: dapprima attraverso l’intervento delle ninfe (creature acquatiche) e poi con Prometeo.
Prometeo era colui che aveva formato l’uomo con l’argilla e lo aveva animato col fuoco sottratto agli Astri. Gli apparteneva il simbolo del fuoco; simbolo che, insieme a quello dell’acqua, era rappresentativo del battesimo e delle antiche iniziazioni, così come delle ordalie, ovvero le prove di colpevolezza o innocenza alle quali venivano sottoposti gli accusati.

Il giallo e l’oro erano dunque i colori dell’emanazione divina riflessa nell’intelligenza umana; in questo senso il profeta Daniele vede gli uomini intelligenti come esseri di luce, in grado di condurre alla giustizia gli altri. Gesù annuncia che i giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre.

Per gli antichi, l’oro è il Bello ed è tutto ciò che appare essere senza difetto; per fare alcuni esempi: la dottrina più pura è detta aurea, il mistero dell’armonia cosmica e della proporzione è la sezione aurea, l’età dell’uomo più felice e virtuosa, viene chiamata età dell’oro.

Persino gli alimenti di colore giallo erano associati all’amore e alla sapienza divina, e mangiarli avvicinava l’uomo alla perfezione. Si pensi al miele, che Virgilio reputa un dono celeste e per questo paragona alla rugiada, simbolo d’iniziazione, d’ispirazione sacra e poetica. Le leggende raccontavano che le api si erano posate sulle labbra di Platone in fasce, e che Pindaro, cresciuto nei boschi, era stato nutrito dal miele. Le donne-sacerdotesse assimilate alle api essere erano dette melisse: pare avessero il dono della profezia, oltre che della poesia.

Eppure, come accade per ogni cosa, esiste il risvolto della medaglia; alle accezioni positive del colore giallo si contrappongono quelle negative: gli alimenti malsani e selvatici trasmettevano, proprio per la loro tinta, una sensazione di pericolo, in diversi casi effettivamente riscontrabile: si pensi al giallo cadmio venduto alle botteghe dei colori con un teschio impresso sul contenitore.

Così abbiamo un esempio della regola delle opposizioni: il giallo connesso al mondo celeste, alla luce e all’oro, simboleggia l’amore divino che illumina le intelligenze; di contro, nel senso infernale, denota orgoglio ed egoismo, quella superbia dell’uomo che si autoesalta e vuole sostituirsi alla divinità. Pensiamo a Lucifero, l’angelo di luce più vicino a Dio, che compie la sua caduta verso gli Inferi. E quale minerale è associato ai luoghi infernali e alla colpa? Lo zolfo, che è proprio di colore giallo; dunque abbiamo mostrato come uno stesso elemento, o una stessa qualità, possa racchiudere una compresenza di luce e tenebra.

Nell’ambito profano abbiamo un rispecchiamento rispetto alla doppia accezione assunta dal colore giallo in rapporto al divino: l’unione legittima e di contro l’adulterio che spezza i vincoli. Nel Medioevo il giallo veniva associato alla saggezza così come al tradimento, ancora ai giorni nostri è sia il simbolo della costanza (si pensi alla tradizionale fede nuziale), ma anche della gelosia (l’usanza di regalare rose gialle). In alcune vetrate delle cattedrali gotiche Giuda - il traditore per eccellenza - è vestito di giallo, e questa rappresentazione la ritroviamo anche in alcuni dipinti di epoche successive. Quando era in vigore la pena capitale, l’esecutore (ovvero il boia) vestiva di giallo per indicare il tradimento del reo, o di rosso per porre l’accento sull’azione punitiva.

Nella visione storica dei corsi e ricorsi, ben sistematizzata nel pensiero di G. Vico, a un’epoca di dissoluzione e decadenza seguirebbe una nuova età dell’oro, come se il declino fosse un avvertimento della società che si annienta per rinascere nella cività.

Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013

Post scritto da Miriam Tritto

Simbolica dei colori: il bianco

21/1/2018

 
Essendo iniziato da poco un nuovo anno, non possiamo che partire dal colore che più fa pensare all’inizio, all’origine, al principio, alla luce, alla pagina bianca di una qualsivoglia narrazione o storia.

Il colore bianco è, dall’alba dei tempi, il simbolo della verità assoluta, dell’unità da cui emanano i colori primitivi e le mille sfumature che troviamo in natura. Per questa sua caratteristica è associato anche alla luce della Creazione. Nella lingua tibetana il nome designato per la luce bianca indica l’unità.
I profeti delle religioni monoteiste, vedono la divinità rivestita di un manto bianco come la neve; la Sua capigliatura è bianca o simile a lana pura, si legge. Anche nel politeismo greco riscontriamo lo stesso simbolismo, ad esempio col dio Pan - principio universale della natura feconda - che, bianco come la neve, sedusse la luna, simbolo femminino per eccellenza.

Così come al cospetto del Dio, i sacerdoti sono ammessi con le sole vesti bianche. In Grecia, Pitagora prescrive di cantare gli inni sacri con vesti bianche; i sacerdoti di Giove hanno vesti bianche. Lo stesso simbolo è adottato dai Brahmani in Asia e lo si ritrova presso gli Scandinavi, i Germani e i Celti; Plinio riferisce che i druidi portavano vesti bianche e sacrificavano buoi di questo colore. In Egitto la tiara bianca orna il capo di Osiride; i suoi paramenti sono bianchi come quelli di Aronne, e i sacerdoti egizi portavano una veste di lino come i figli di Levi.
Nella lingua sacra della Bibbia le vesti bianche sono i simboli della rigenerazione delle anime e la ricompensa degli eletti: “Chi vincerà – dice l’Apocalisse – sarà vestito di bianco e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita; il Regno dei cieli appartiene a coloro che hanno lavato e sbiancato le loro vesti nel sangue dell’agnello”.
Gli antichi romani adottavano le stesse credenze: il primo giorno di gennaio, il console, indossando una veste bianca, saliva al Campidoglio su un cavallo bianco per celebrare il trionfo di Giove, dio della luce, sui Giganti, spiriti delle tenebre. Questa contrapposizione evidenzia un dualismo onnipresente, quello tra luce e oscurità, bene e male.
In Persia, cavalli bianchi venivano sacrificati al Sole, immagine della luce divina.

L’iniziazione – o rigenerazione dell’anima – cominciava con un’immagine di morte. Il bianco fu così consacrato ai defunti in tutta l’Antichità, e divenne un colore di lutto. Secondo Erodoto gli Egizi seppellivano i morti in sudari bianchi. Ritroviamo quest’uso in Grecia: Pitagora ne prescrive l’osservanza ai propri discepoli come un fausto auspicio di immortalità. L’evangelista Matteo dice che Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un sudario bianco.
In Oriente, precisamente in Giappone, il matrimonio è considerato come una nuova esistenza per la donna; essa muore alla sua vita passata per rivivere nel suo sposo. Il letto della fidanzata ha il guanciale rivolto verso il nord, come si fa per i morti; essa indossa la veste funebre bianca. Questa cerimonia annuncia ai genitori che essi hanno appena perduto la loro figlia.

Il paganesimo ragionò i simboli sacri in termini di virtù e vizi: in fede e verità. La fede profana, che presiede alle umane intese e agli accordi – la buonafede – conservò la relazione tra Creatore e creatura. Le rappresentazioni allegoriche di queste due virtù riportavano, infatti, vesti bianche.

Nelle lingue popolari, ritroviamo i significati originari delle parole nella loro derivazione sacra e divina. La parola greca leukos significa: “bianco”, “felice”, “gradevole”, “gaio”; Giove aveva il soprannome di Leuceus; in latino, candidus – “bianco”, “candido”, “felice”.
 I Romani segnavano i giorni fasti col gesso e i nefasti col carbone. La parola “candidato” ha la stessa origine. Nel caso di votazioni, per indicare il loro voto favorevole, gli antichi usavano ciottoli bianchi. Chi sollecitava il favore popolare portava, a Roma, la veste bianca o sbiancata col gesso.
Nella lingua tedesca troviamo le parole weiss, “bianco”, e wissen, “sapere”; in inglese, white, “bianco”, e wit, “spirito”, witty, spirituale, wisdom, saggezza. I druidi erano gli uomini “bianchi”, “saggi” e “sapienti”. Queste etimologie vengono confermate dal significato popolare del colore bianco; i Mori designavano, con questo emblema, la purezza, la sincerità, l’innocenza, la semplicità, il candore; applicato alla donna, esso prendeva l’accezione della castità; alla giovinetta, della verginità; al giudice, dell’integrità; al ricco, dell’umiltà.

Il blasone, mutuando da questo catalogo, stabilisce che, negli stemmi, l’argento denota la bianchezza, la purezza, la speranza, la verità e l’innocenza, la franchezza, la giustizia; così l’ermellino, le fasce e i gigli.

Il bianco rappresentava la castità immacolata e fu consacrato alla Vergine; i suoi altari sono bianchi, i paramenti del sacerdote che officia sono bianchi, così come, nel giorno della festa della Vergine, il clero è vestito di bianco. L’Apocalisse, come abbiamo detto, promette vesti bianche a colore che vinceranno e non saranno più soggetti alla seconda morte e una pietra bianca, sulla quale sarà scritto un nome nuovo, che nessuno conosce, salvo colui che lo riceve. La pietra bianca è l’emblema delle verità unite al bene e confermate dalle opere. Il nome indica e conserva le qualità della cosa.
Il leucas, o pietra bianca, guarisce dalle passioni e mette loro un freno; così come l’innocenza e la sapienza allontanano i cattivi pensieri e prevengono le loro funeste aggressioni. Orfeo descrive le proprietà meravigliose delle due pietre bianche – il diamante e il cristallo – che generano tutti i beni e tutte le virtù. Il diamante - diceva la superstizione – placa la collera, conserva l’unione degli sposi, è pietra di riconciliazione, fede, amore coniugale, costanza, forza, innocenza. Come il bianco racchiude in sé il principio di tutti i colori; il cristallo è il generatore della fiamma, come la sapienza dà origine all’amore divino.

L’avorio era il simbolo della verità a causa della sua bianchezza splendente; tant’è che i sogni veritieri uscivano dagli inferi per la porta d’avorio e quelli menzogneri per la porta di corno.
Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013
Post scritto da Miriam Tritto
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Il simbolismo di Giano

12/1/2018

 
            Ovidio - poeta antico romano delle Metamorfosi - chiede proprio a Giano, custode di ogni inizio, di propiziare il nuovo anno, e lo fa nel suo poema incompiuto, I Fasti:
 
“Ecco Giano, l’anno ti annunzia felice, / Giano che nei miei carmi per primo compare, / Giano bifronte, che l’anno cominci scorrente / silenzioso, solo tra i numi vedi dietro. / Ai duci sii propizio, che danno con l’opera loro / alla terra pace serena e al mare; / il popolo proteggi, proteggi il senato di Roma / e i candidi templi dischiudi col tuo cenno”.
 
Perché fosse di buon auspicio, in occasione delle celebrazioni di inizio anno, venivano consumati nelle case romane cibi dolci; datteri, miele, fichi, offerti per buon augurio, perché nelle cose passi il sapore e l’anno sia dolce.
            Negli antichi cicli iconografici dei mesi, risalenti all’epoca medioevale, gennaio viene personificato proprio con Giano, e in alcune cattedrali è rappresentato mentre chiude la porta sull’anno vecchio e ne apre una su quello nuovo. 
            Dio degli dei, padre di tutta l’umanità, dio della procreazione e della stessa creazione del cosmo (fu infatti identificato con il dio primordiale posto agli inizi del mondo: Chaos), era dio del principio e della fine di tutte le cose, presiedeva a tutti i passaggi nello spazio e nel tempo; veniva invocato per primo nelle imprese, nei riti e durante le cerimonie.
Era nume tutelare delle transizioni, delle iniziazioni, dei riti di passaggio (come semine, raccolti, battesimi, matrimoni), delle due dimensioni temporali antitetiche– passato e futuro, coesistenti nel presente -, della visione, della connessione prodigiosa tra mondi, anche tra la dimensione umana e quella sovraumana, attraverso le porte solstiziali (Janua Coeli e Janua Inferni); Giano, Signore dei tempi, apre e chiude il ciclo annuale del Sole.
            Il passaggio rituale sotto una porta dedicata a Giano, aveva una funzione catartica.
Divinità bifronte, è una figura alquanto complessa e interessante nel panorama del sacro e nella storia delle culture, poiché presenta tratti in comune con figure mitologiche di vari popoli.  Verrà pienamente mutuato, nei suoi poteri e nei suoi simboli, dal Cristianesimo. Si pensi a San Michele, la figura guerriera che va a sostituire, nella liturgia della Passione, il Cristo come divinità dell’accesso: Michele è colui che in tale periodo è posto sulla porta a controllare i confini. Inoltre l’Arcangelo occupa una posizione elevata nella schiera della milizia celeste e appare sopra i monti, quale mediatore fra due luoghi, il sacro e il profano, a protezione del bene e in opposizione alle forze del male.
Le caratteristiche iconografiche di Giano vanno inserite nel contesto dell’antica cultura mediterranea, interconnessa al vicino Oriente. La sua qualità di guardare in tutte le direzioni è condivisa, ad esempio, da Borea, il vento che soffia in direzioni opposte e che raduna le nubi e le disperde; da Argo, il vigile guardiano di Io trasformata in giumenta, il difensore dai molteplici occhi, incastonati in seguito alla sua morte nella ruota del pavone, per mano di Hera. In Grecia furono considerate bicefale anche divinità quali Zeus, Apollo ed Hermes; in terra fenicia troviamo il dio El, rappresentato con quattro occhi, due davanti e due dietro, che gli consentivano di vegliare e dormire simultaneamente.
            Le due facce di Giano non sono tuttavia gemellari come nelle divinità sopra dette, ma raffigurano il volto di un anziano barbuto e di un giovane imberbe o femmineo, a simboleggiare il passato e il futuro, il principio maschile del sole e quello femminile della luna, il giorno e la notte.
Il dio bifronte era raffigurato agli ingressi delle porte monumentali, sulle soglie delle abitazioni, lungo le antiche mura a vegliare sulle comunità e a collegarle con l’esterno sconosciuto. Nell’antichità le porte avevano divinità preposte alla custodia delle fortezze: troviamo grifi, leoni, tori, questi stessi animali resi antropomorfi; li ritroviamo anche all’ingresso delle cattedrali, (basta osservare le chiese che abbiamo a portata di occhi, nelle nostre città).
Gli antichi sorvegliavano le porte urbane per difenderle dai nemici, ma la porta che separa dall’esterno assume un senso mistico nel caso dei monasteri, soprattutto dei primi di essi: le meteore, poste in alto sulle rocce a strapiombo, dominano ancora oggi la strada che porta a Tessalonica.
            Abbiamo notizie di una personificazione di Giano - soprattutto attraverso le celebri opere di Ovidio - nella figura di un leggendario re divino, che avrebbe dato abbrivo alla civiltà, favorendo la costruzione di edifici sacri e procurando agli uomini una condizione di vita più elevata, mediante riforme politiche e sociali.
Si narra, inoltre, che introdusse la moneta nell’economia e l’uso delle navi. La numismatica ci offre testimonianza di questo attraverso le antiche monete di bronzo romane, dove troviamo effigiato il dio bicefalo sul recto e una nave sul verso.
Oltre a essere un dio solare onniveggente, veniva considerato anche un dio acquatico, e pur essendo ritenuto italico, si immaginò che fosse arrivato via mare nell’antica Enotria, ossia “terra del vino” (l’attuale Italia, appunto) - e fosse collegato al dio Greco Dioniso, ovvero il Bacco romano, condividendo con lui la passione per il nettare d’uva.
            La tradizione romana fa di lui un mitico re che edificò una città sul colle Gianicolo, che prese il suo nome; monte sacro sin dalla preistoria per i vaticini che si compivano (da qui Campo Vaticano), ospitò la crocefissione di Pietro e l’edificio che in seguito fu a lui intitolato, la Basilica di San Pietro in Vaticano. Così abbiamo Giano, il dio delle porte e Pietro, il detentore delle chiavi. Lo stesso dio bifronte fu rappresentato con gli attributi delle chiavi e del bastone da viandante.
La radice del suo nome allude al concetto di passaggio, si veda il verbo latino ire (andare) e il sanscrito yana (porta), e come il serpente Uroboro, Giano è sempre in movimento, eppure si staticizza nella porta, ne è la personificazione stessa.
             
Vi sarete chiesti come mai l’anno inizi nel bel mezzo del freddo inverno e non in primavera, la stagione della rinascita e del bel rinnovo per eccellenza. A questo ci risponde ancora Giano:
“Nell’inverno il sole completa la sua annuale marcia e dall’inverno riprende la nuova: così il Sole e l’anno, hanno lo stesso inizio.“
(Ovidio, Fasti, Libro I)
 
Fonte: “Dal mondo antico al Cristianesimo sulle tracce di Giano. Il simbolismo della porta e del passaggio in relazione al dio bifronte” di Vania Gasperoni Panella e Maria Grazia Cittadini Fulvi, edito da Morlacchi.

Post scritto da Miriam Tritto
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Miriam Tritto, Simbolica, acquaforte, 12x16 cm, 2015
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