![]() C’è un elemento naturale che ha a che fare con il colore rosso e che ritroviamo nella tradizione di tutte le civiltà come principio creatore e distruttore. Comincerei questo breve approfondimento parlando del fuoco: in ebraico uno dei nomi di Dio è quello del fuoco; per gli indiani, il dio Shiva è il fuoco dell’inizio e della fine; per gli egizi, la fenice era simbolo del principio vitale, della luce e della rigenerazione nel fuoco, l’epifania della vita e l’avvento del tempo, oltre che simbolo d’iniziazione e sacrificio. Adamo, il primo uomo, deriva il suo nome proprio dal rosso, il colore del fuoco. Modellato nell’argilla, egli riceve il soffio vitale per mezzo dell’amore divino. L’ultima fase del processo alchemico, detto La Grande Opera, è intitolata al rosso. L’alchimista ha il compito di elevarsi dalla materia per liberarla, dopo averla purificata. E’ in questa fase che i metalli vili si tramutano in oro, e l’anima, ripulita, è pronta a fondersi col mondo, a conciliare gli opposti con la consapevolezza di far parte del Tutto come strumento di Dio. Le quattro fasi dell’alchimia (nigredo, opera al nero della putrefazione; albedo, opera al bianco della distillazione; citrinitas, opera al giallo della coagulazione; rubedo, opera al rosso della trasformazione) presero il nome dai colori fondamentali della pittura parietale greca, e furono messe in corrispondenza con gli elementi naturali terra, acqua, aria, fuoco. In seguito agli studi condotti da Jung, simboleggiarono ufficialmente le quattro fasi di trasmutazione interiore e psichica. L’alchimia nasce dal bisogno di elevazione spirituale dell’uomo, e rappresenta un processo filosofico ed ermetico che persegue la conoscenza e il superamento dei limiti umani, adottando un linguaggio di non facile decifrazione senza la conoscenza dei simboli e delle allegorie di cui si serve. Ogni fase alchemica era associata, nella tradizione medievale, a determinate figure. Le principali legate alla rubedo sono la rosa, l’uovo, la fenice e il pellicano: simboli che possiamo rintracciare in molte religioni. Soprattutto quello dell’uovo primordiale rappresenta un riferimento principe per le cosmogonie che narrano l’origine del mondo. Prendiamo ad esempio la cultura greca: nella Teogonia di Esiodo si narra che la Notte partorì un uovo, da cui nacque Amore (ovvero Eros), padre della luce e degli déi. Di Cupido ci parla anche Apuleio (nel suo Asino d’oro) raccontando la vicenda di Psyche e le prove che l’anima deve superare prima di ottenere l’immortalità. L’amore e il rosso erano dunque sinonimi del fuoco nel linguaggio dei simboli. Nell’antichità l’amore è anche legato al concetto d’infanzia: Eros è un bambino; l’amore celeste cristiano è rappresentato da putti alati; il regno dei cieli appartiene - secondo il verbo di Gesù - soltanto a chi conserva in sé il “fanciullo”. Le divinità sono vestite di rosso come attributo d’amore; si pensi a Zeus, Vishnu, Maometto e allo stesso Gesù Cristo dopo la Resurrezione. Nel giorno della loro festa, le statue dedicate alla divinità oggetto della celebrazione venivano dipinte di rosso. Degna conseguenza di tutto questo è l’uso di abiti rossi per pontefici, cardinali e re, indice dell’amore e della consacrazione in Dio. La regalità di questo colore era riconosciuta universalmente, così i re d’Egitto portavano drappi rossi, proprio come gli imperatori romani e i regnanti della Grecia. Persino gli editti erano redatti e firmati con inchiostro rosso, e dello stesso colore era la ceralacca posta a sigillo. Questo colore, come gli altri, conserva un significato ambivalente: divino e infernale. Il contraltare dell’amore divino è l’egoismo, l’odio, la cupidigia: anche il demonio, come alcune divinità, è vestito di rosso e il fuoco dei sacrifici offerti agli déi trova il corrispettivo nelle fiamme degli inferi, dove tutti i vizi e i crimini bruciano. Il blasone ha conservato nelle sue rappresentazioni il duplice significato del rosso, che negli stemmi indica le virtù spirituali, l’ardore verso Dio e il prossimo, così come l’ira, il furore, la violenza e la crudeltà. La pietra preziosa maggiormente collegata al rosso è il rubino che nell’antichità era considerato emblema di fortuna. Se mutava il suo colore, presagiva un avvenimento funesto, passato il quale riacquistava la sua tinta originale. Si credeva, inoltre, che questa pietra scacciasse la malinconia, resistesse al veleno, allontanasse i cattivi pensieri e proteggesse dalla peste. Infine, il rosso rappresenta anche il pudore. Si pensi alla tinta che assumono le gote quando vengono colorate dalla virtù. Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013 ![]() Il giallo trova il suo simbolo naturale nella luce e nel calore del sole. Sole che simboleggia l’amore di Dio, manifesto e rivelato nella creazione e nella rigenerazione. Tutte le religioni basano i loro dogmi sui simboli solari; si pensi a Mithra o ad Apollo, di cui l’oro e il sole sono attributi e si manifestano nelle vesti, negli strumenti e nell’incarnato. Mithra inoltre è l’esecutore della parola sacra e il mediatore del pensiero divino, soccorre chi si ha smarrito la retta via e soppesa la condotta degli uomini; grazie alla sua intercessione, l’uomo si eleva nelle parole e nelle azioni. Si può riscontrare una perfetta identità di simboli e di cerimonie nel cristianesimo e nel mithraismo. Il culto solare e la promessa di un redentore erano diffusi in tutto l’oriente, prima ancora che in occidente; si pensi a Zoroastro, il riformatore dell’antico culto solare, il cui nome significa astro d’oro e splendente. Gli stessi significati li ritroviamo in India racchiusi nella prima emanazione dell’Essere supremo: Vishnu, il sole spirituale, chiamato il “portatore di abiti gialli”. Vishnu fu colui che all’alba dei tempi generò le acque nelle quali depose un uovo dorato e radioso, da cui nacque Brahma il progenitore e il Verbo rivelato, come Adamo. Lo stesso modello si ripete in Egitto con Amon, il Verbo divino rivelato al mondo in qualità di Horus, il figlio di Dio, che nasce, come Brahma, nel calice di un loto in mezzo alle acque. Tutte queste divinità sono assimilabili da Occidente a Oriente e si identificano con il sole mistico, adorato dai popoli e consacrato nell’oro. I pittori diedero a Gesù Cristo capelli dorati e l’aureola dorata posta sulla testa sacra è il simbolo di una nuova era, di un evento epifanico. Il giallo e l’oro ricevettero nella liturgia e nei riti lo specifico simbolo della rivelazione; essi rappresentavano l’iniziazione ai misteri e la luce rivelata ai profani. Le statue di Anubi erano giallo oro, lo stesso significato del suo nome è “dorato”; così come le vesti di San Pietro - custode della dottrina ecclesiastica e simbolo della fede per eccellenza – erano raffigurate in giallo. San Pietro recava gli stessi attributi di Anubi e Hermes, ovverosia le chiavi e il bastone. Anubi, poi, come personificazione delle scienze umane assumeva il nome ti Thot, l’Hermes greco, o il Mercurio romano. Messaggero degli dèi e psicopompo, egli conduce le anime nell’Aldilà, le guida con una verga d’oro ed è rappresentato con un volto diviso fra la tenebra e la luce. Era inoltre nume tutelare dei ladri, nel senso di chi sottrae l’oro spirituale, ovvero i misteri della luce agli sguardi profani. La favola delle Esperidi ce ne offre un esempio: figlie della Notte e delle divine acque, esse erano depositarie dei meli dai frutti d’oro consegnati da Era a Zeus come dono nuziale. A guardia di questi alberi fu posto un drago con cento teste, che conobbe la morte per mano di Ercole. Il drago, che era figlio delle tenebre, era il rappresentante dei vizi e delle passioni umane ed era l’emblema della separazione tra l’uomo e la sapienza spirituale. Le mele d’oro conferivano grandi virtù a chi le possedesse e proprio per questo motivo, la Discordia non perse occasione di far litigare le tre dee Esperidi. Con lo stesso frutto Ippomene poté sedurre Atalanta, ed Ercole poté compiere la dodicesima delle sue fatiche. Ercole, che era un neofita, si sottopose a un vera e propria iniziazione ai misteri: dapprima attraverso l’intervento delle ninfe (creature acquatiche) e poi con Prometeo. Prometeo era colui che aveva formato l’uomo con l’argilla e lo aveva animato col fuoco sottratto agli Astri. Gli apparteneva il simbolo del fuoco; simbolo che, insieme a quello dell’acqua, era rappresentativo del battesimo e delle antiche iniziazioni, così come delle ordalie, ovvero le prove di colpevolezza o innocenza alle quali venivano sottoposti gli accusati. Il giallo e l’oro erano dunque i colori dell’emanazione divina riflessa nell’intelligenza umana; in questo senso il profeta Daniele vede gli uomini intelligenti come esseri di luce, in grado di condurre alla giustizia gli altri. Gesù annuncia che i giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre. Per gli antichi, l’oro è il Bello ed è tutto ciò che appare essere senza difetto; per fare alcuni esempi: la dottrina più pura è detta aurea, il mistero dell’armonia cosmica e della proporzione è la sezione aurea, l’età dell’uomo più felice e virtuosa, viene chiamata età dell’oro. Persino gli alimenti di colore giallo erano associati all’amore e alla sapienza divina, e mangiarli avvicinava l’uomo alla perfezione. Si pensi al miele, che Virgilio reputa un dono celeste e per questo paragona alla rugiada, simbolo d’iniziazione, d’ispirazione sacra e poetica. Le leggende raccontavano che le api si erano posate sulle labbra di Platone in fasce, e che Pindaro, cresciuto nei boschi, era stato nutrito dal miele. Le donne-sacerdotesse assimilate alle api essere erano dette melisse: pare avessero il dono della profezia, oltre che della poesia. Eppure, come accade per ogni cosa, esiste il risvolto della medaglia; alle accezioni positive del colore giallo si contrappongono quelle negative: gli alimenti malsani e selvatici trasmettevano, proprio per la loro tinta, una sensazione di pericolo, in diversi casi effettivamente riscontrabile: si pensi al giallo cadmio venduto alle botteghe dei colori con un teschio impresso sul contenitore. Così abbiamo un esempio della regola delle opposizioni: il giallo connesso al mondo celeste, alla luce e all’oro, simboleggia l’amore divino che illumina le intelligenze; di contro, nel senso infernale, denota orgoglio ed egoismo, quella superbia dell’uomo che si autoesalta e vuole sostituirsi alla divinità. Pensiamo a Lucifero, l’angelo di luce più vicino a Dio, che compie la sua caduta verso gli Inferi. E quale minerale è associato ai luoghi infernali e alla colpa? Lo zolfo, che è proprio di colore giallo; dunque abbiamo mostrato come uno stesso elemento, o una stessa qualità, possa racchiudere una compresenza di luce e tenebra. Nell’ambito profano abbiamo un rispecchiamento rispetto alla doppia accezione assunta dal colore giallo in rapporto al divino: l’unione legittima e di contro l’adulterio che spezza i vincoli. Nel Medioevo il giallo veniva associato alla saggezza così come al tradimento, ancora ai giorni nostri è sia il simbolo della costanza (si pensi alla tradizionale fede nuziale), ma anche della gelosia (l’usanza di regalare rose gialle). In alcune vetrate delle cattedrali gotiche Giuda - il traditore per eccellenza - è vestito di giallo, e questa rappresentazione la ritroviamo anche in alcuni dipinti di epoche successive. Quando era in vigore la pena capitale, l’esecutore (ovvero il boia) vestiva di giallo per indicare il tradimento del reo, o di rosso per porre l’accento sull’azione punitiva. Nella visione storica dei corsi e ricorsi, ben sistematizzata nel pensiero di G. Vico, a un’epoca di dissoluzione e decadenza seguirebbe una nuova età dell’oro, come se il declino fosse un avvertimento della società che si annienta per rinascere nella cività. Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013 |
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Luglio 2018
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