Il porpora e il giacinto sono tonalità che fanno parte di una stessa tinta, nell’una predomina il rosso, mentre nell’altra il blu. Nella simbolica, la sfumatura dominante determina il significato della tinta nella sua variazione. Tenendo presente che il rosso rappresenta l’amore divino e il blu la verità celeste, il porpora e il giacinto faranno riferimento rispettivamente a questi due attributi.
Lo scarlatto, invece, è una sfumatura composta da rosso e giallo, con una predominanza della prima; fondendo i significati delle due tinte, simboleggia l’amore spirituale e la parola divina. Questi tre colori vennero usati sin dall’antichità nelle vesti sacerdotali e nei paramenti sacri. Dal punto di vista dell’analisi duale di questi tre colori, abbiamo significati opposti come per le tinte affrontate in precedenza; se il porpora è associato al bene, il giacinto al vero e lo scarlatto a entrambi, al contempo essi possono assumere declinazioni negative e rappresentare il male, l’errore e la falsità. In questo senso, il profeta biblico Geremia, associa ai falsi sapienti il giacinto e il porpora, identificati dai loro abiti. Nell’Apocalisse, San Giovanni ha una visione di cavalieri vestiti di armature di fuoco, di giacinto e di zolfo, in sella a cavalli dalla testa di leone che sputavano tre piaghe – fuoco, fumo e zolfo – per mezzo delle quali la terza parte degli uomini viene uccisa. In questo testo sacro, la bestia color scarlatto ha un significato infernale. Anche il paganesimo antico vede nelle diverse sfumature del giacinto, gli emblemi della virtù e del vizio. La predominanza di blu indicava la costanza nelle battaglie spirituali e la fedeltà. Il giacinto poi era associato alla salamandra e ne condivideva a virtù di poter resistere al fuoco finanche ad avere la virtù di spegnerlo. Entrambi erano simboli della fede costante che trionfa sulle passioni e le spegne. Inoltre vi era la credenza, data probabilmente dall’osservazione empirica, che il giacinto seguisse i cambiamenti atmosferici, che brillasse dunque al sole e si oscurasse sotto un cielo plumbeo. Assume così l’emblema dell’uomo pio che si apre ai raggi divini e ne assorbe l’amore e il sigillo. Passiamo ora al viola. In questo colore, le due tinte originarie che vanno a comporlo si equilibrano e vibrano alla pari, così il significato è il risultato di questo incontro e simboleggerà l’amore per la verità e la verità dell’amore, l’unione della bontà e della verità con la sapienza. Attraverso l’esperienza della Passione e il supplizio della croca, Gesù Cristo rese la propria natura divina identica a quella del Padre, ovvero amore e verità. Per questo, sui monumenti del Medioevo, il Cristo porta la veste viola durante la Passione e i sacerdoti mantengono questo colore nel periodo liturgico legato alla Passione, indicando l’identificazione del Padre col Figlio. Mentre lo Spirito Santo ha i colori rosso e blu, mai viola. Esso è Dio in noi, come amore e verità, in qualità di attributi divisi e non ancora uniti finché non avviene l’identificazione col Padre. In Dio l’amore e la sapienza fanno parte di un unico attributo, che nell’uomo è diviso. Gesù, archetipo dell’umanità, indossa la veste rossa e il mantello blu; spogliandosi della natura umana per unirsi nuovamente a Dio, passa alla veste viola. Dopo la sua glorificazione, quando si identifica con Dio ed è Dio stesso, appare vestito di rosso e di bianco. Gli artisti diedero talvolta la veste viola a Dio stesso, come si può notare nella volta della Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo Buonarroti. Spesso anche la Vergine Maria porta questo colore nelle vesti, per indicare il sacrificio di suo figlio e di ella stessa, in nome della salvezza degli uomini. Persino i manoscritti anteriori all’epoca rinascimentale e inerenti al culo (evangeliari, salteri, breviari) sono scritti in lettere d’oro su sfondo viola. Il viola fu anche il simbolo delle nozze mistiche della Chiesa con il Signore, per mezzo del Salvatore che unisce, attraverso la Passione, la natura umana con quella divina. Il sacrificio compiuto rappresentava l’immagine di ciò che l’uomo deve compiere sulla terra, prima di accedere alle nozze celesti. Ai martiri, che subirono supplizi analoghi a quelli del loro Maestro, fu consacrato il viola. Fu inoltre colore adottato per il lutto di personaggi di alto rango, come i re di Francia e i cardinali. Anche nella cultura cinese il viola è un colore associato al lutto; laddove il blu designa i morti e l’immortalità dell’anima e il rosso i vivi, il viola simboleggiò la resurrezione nell’eternità. Insino nelle tombe egizie si trovano amuleti di questo colore; così come nella cultura greca il mantello del Dio Apollo è viola o blu. Apollo era la personificazione del sole e questo ci evidenzia ancora una volta la stretta associazione che esiste tra cultura pagana e cristiana, espressa attraverso i simboli; si pensi a Gesù Cristo chiamato “il nuovo sole” e all’associazione, anch’essa lampante, con la religione mitraica, preesistente e largamente diffusa prima dell’avvento del Cristianesimo nella cultura romana, che sappiamo altresì avere molto attinto da quella greca. Trovo anch’io, come nella riflessione di Portal, che queste osservazioni non debbano essere prese come un attacco o un demolire il cristianesimo, quanto un farci capire come tutte le cose sono fortemente imparentate, come attingano da ciò che li circonda o le abbia precedute, come mantenga certi significati seppure cambiandone le forme rappresentative. Il simbolo è qualcosa che unisce, come dice la parola stessa, non che divide. Fonte: F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2013
Post elaborato e scritto da Miriam Tritto
Illustrazione generica di Miriam Tritto |
Archivi
Luglio 2018
Categorie
Tutto
|